Cenni storici
Noto fu resa al suolo l’11 gennaio 1693 e, una settimana dopo, la sua ricostruzione fu commissionata a Giuseppe Lanza, duca di Camastra, un aristocratico siculo-spagnolo, la cui reputazione era legata ai lavori da lui eseguiti nella città di Santo Stefano di Camastra, sulla costa tirrenica. Lanza visitò le rovine, vide soltanto “un monton de piedras abandonadas” (un mucchio di pietre abbandonate), e decise di ricostruire la città in un unico sito, a 16 Km a sud. In realtà le rovine non erano state abbandonate: la popolazione colpita stava già improvvisando una baraccopoli e, quando la decisione di Lanza divenne di dominio pubblico, si indisse persino un referendum che respinse il progetto di trasferimento. Lanza, però, in parte motivato dal prestigio dell’impresa, in parte dalla necessità di creare strutture difensive, ignorò i sentimenti locali e fece addirittura abbattere le nuove costruzioni e quello che restava della chiesa della città vecchia.
Con l’aiuto dell’ingegnere militare olandese Carlos de Grunemburg, Lanza ideò una nuova pianta rivoluzionaria basata su due zone distinte che avrebbero dovuto essere quasi completamente separate l’una dall’altra: un’area inferiore per le strutture politiche e religiose e una superiore per il popolo. Vennero ingaggiati i migliori architetti: Vincenzo Sinatra, Paolo Labisi e il grande Rosario Gagliardi, non menti innovative, m uomini che grazie all’entusiasmo e all’esperienza furono in grado di creare una sintesi armoniosa delle tecniche e delle forme architettoniche più recenti. La loro collaborazione fu così intensa che ancora oggi è difficile stabilire chi fece cosa. I lavori furono completati in un tempo incredibilmente breve. Ne risultò una città nuova, pianificata ponendo l’accento sulla simmetria e l’armonia visiva, dal semplice impianto viario alle aggraziate figure che adornano gli edifici. Si tratta indubbiamente della creazione più riuscita derivata dalla costruzione post-terremoto e, per un certo periodo di tempo, a metà del XIX secolo, la nuova Noto subentrò a Siracusa come capoluogo di provincia.Porta Reale
Dai giardini pubblici sul lato est della città si raggiunge il centro di Noto passando per la monumentale Porta Reale, costruita nel 1838 e sormontata dai tre simboli della fedeltà della città alla monarchia borbonica: un cane, una torre e un pellicano (rispettivamente lealtà, forza e sacrificio). Corso Vittorio Emanuele, che parte da qui e attraversa il cuore del quartiere patrizio, più in basso, è fiancheggiato da alcuni degli edifici più affascinanti della Sicilia. Ora che la via è padronale, li sii può ammirare quanto si vuole, mentre di sera i riflettori, molti dei quali incassati nel marciapiede, li mettono splendidamente in risalto.
Tra le
rovine di Noto Antica
Fino a
quando non fu definitivamente abbandonata nel 1693, nel corso della storia la
Noto originaria era stata più volte un’importante roccaforte: fu una delle
poche città siciliane a resistere al saccheggio del pretore romano Verre e
l’ultimo bastione della Sicilia araba prima dell’arrivo dei normanni. Della
città vecchia sopravvivono solo pochi ruderi, ma nonostante ciò Noto Antica
è una meta affascinante. Il sito si trova a 16 km a nord-ovest di Noto,
indicato dall’estremità ovest del corso; la svolta per il sito è anche quella
per il convento di Santa Maria delle Scale, e Noto Antica è cinque chilometri
dopo il convento. Si parcheggia fuori dalla porta superstite del castello,
dove i restauri hanno ricostruito parte della torre centrale circolare. La roccia
sotto le mura in rovina lungo la scarpata della valle è perforata da catacombe
protocristiane. Un viottolo sterrato attraversa la porta del castello
conducendo ai resti della città abbandonata, oggi completamente invasa
dalle erbacce: blocchi di pietra squadrati, archi sgretolati, cortili coperti
di rovi e mura in rovina. Un sentiero laterale porta al torrione del castello,
una volta usato come prigione; fate capolino tra le sbarre del cancello per
vedere le incisioni dei carcerati del XVII secolo. Dietro il castello, un
sentiero gira attorno al limite della gola, mentre la seconda scala lungo il
percorso conduce alla valle sottostante, dove troverete i ruderi di concerie e
mulini ad acqua, oltre a gradevoli piscine naturali per una nuotata.
La Cattedrale
A metà di corso Vittorio Emanuele si apre la piazza del Municipio, che forma l’incredibile cuore della pianta della città, con l’imponente Cattedrale fiancheggiata da due campanili gemelli e magnificamente restaurata in seguito al crollo della cupola nel 1996. Si sostiene che la struttura, completata originariamente nel 1776, fu ispirata dai modelli delle chiese romane del Borromini. La storia della sua ricostruzione, insieme ad alcuni dei tesori, è in mostra nel resto del Duomo.
Palazzo Ducezio
Palazzo
del Municipio è circondata da scintillanti edifici restaurati che sono stati
restituiti al loro aspetto originario. Di fronte al Duomo e attualmente sede
del Municipio, Palazzo Ducezio presenta una bella facciata convessa e di
colonne e lunghe balconate in pietra. Gli interni valgono una visita per
vedere la cosiddetta Sala degli Specchi, con lo splendido soffitto a trombe
l’oeil.
L'Infiorata
A
ovest del Duomo, la ripida via Corrado Nicolaci culmina nella chiesa di Montevergine,
di forma ellittica. E’una veduta valorizzata durante l’annuale festival
floreale dell’infiorata (terzo fine settimana di maggio), quando
l’intera via è ricoperta di pedali di fiori disposti in elaborati disegni.
Anche Palazzo Nicolaci di Villadorata, che fiancheggia il lato ovest
della strada, è una visione piuttosto insolita. Sull’affacciata
classicheggiante sono stati inseriti sei stravaganti balconi, sorretti da
contrafforti scolpiti secondo la voga del tempo: grifoni, cavalli al galoppo e
spavalde figure barbute con cherubini dal ventre grassoccio. Il palazzo è
talvolta aperto per le visite guidate, di cui potete chiedere all’ufficio
turistico.
Una spettacolare strada tortuosa a nord-ovest della malridotta città agricola di Avola si inerpica oltre il convento di Avola Vecchia verso la magnifica gola e riserva naturale di Cavagrande del Fiume Cassibile. C’è un parcheggio presso il punto panoramico sopra la gola del fiume, che assomiglia un po' al Grand Canyon, con pareti di roccia a strapiombo visibili al di là dello spartiacque, rapaci che volteggiano e l’acqua che luccica sul fondo. Il sentiero molto ripido che scende a fondovalle viene chiuso in caso di alto rischio di incendi, ed è essenziale calzare scarponcini adatti, essere abbastanza in forma da affrontare la risalita e avere acqua a sufficienza. L’andata e ritorno richiede tre ore, più il tempo che passerete sguazzando nelle piscine naturali o seguendo il sentiero che costeggia il fiume, per quasi tutti gli 11 km di lunghezza della gola. Se non ve la sentite di scendere fino in fondo, seguite il percorso più dolce che corre redente le pareti della gola e che diverge a sinistra a circa metà strada. In cima, nell’area di parcheggio, potete bere e mangiare in una taverna rustica, la Trattoria Cava Grande.
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